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Tali pagine possono essere lette come una sorta di "viaggio di Ulisse", lungo le rotte percorse da Israele sulla via del ritorno alla casa del Padre; come un tributo alla dimensione atemporale della Torah - le cui lettere sopravvivono sempre, anche quando la carta, e la carne, bruciano, come nel rogo di Rav Chaninah (T.B., Avodà Zara I8a) -, a una parola che perfora il tempo, cambiando sempre di senso nella fissità della lettera, dividendo come uno scoglio le acque della storia. Esse aiutano a capire in che modo i precetti mosaici, eterni e immutabili, abbiano conosciuto la straordinaria capacità di adattamento che ha permesso al popolo ebraico di assumere mille volti, parlare mille lingue e fecondare mille civiltà, restando sempre sé stesso; in che modo, come recita Bialik, la rigida halachah, "pedante, grave, dura come il ferro", sia stata mitigata dalla compassionevole haggadah, "indulgente, lieve, tenera come il burro". Per la sua salvezza, l'uomo ha bisogno di entrambe, di legge e misericordia, di severità e di poesia, come Dante ebbe bisogno di Virgilio e di Beatrice...